Su Diaritoscani.it un bell’articolo di Silvia Ammavuta
Anni fa ho avuto il piacere di conoscere Fabio Baronti, capocomico della Compagnia delle Seggiole. In più occasioni ho assistito ad alcuni suoi spettacoli e ogni volta è un piacere essere presente fra coloro che beneficiano dell’arte della recitazione di questa compagnia. Non è un caso che abbia scritto beneficiare: assistere agli spettacoli di questi attori è leggerezza per lo spirito, è un ritornare in un tempo andato, per chi quel tempo lo ha vissuto, per chi, invece, non lo ha vissuto è una finestra dalla quale scorgere parte del proprio passato. L’essenza è concentrata tutta nel nome “Seggiole”. Mi seggo, appunto, alla scrivania di Fabio e iniziamo il viaggio del suo mestiere.
Il nome della Compagnia ha un forte legame sul territorio, la seggiola in Toscana è la sedia: “La seggiola mi riporta alla mia infanzia, quando si stava a veglia e noi bambini ascoltavamo i racconti degli adulti: era un momento molto intimo della famiglia e del vicinato, di forte aggregazione”. Fabio, di quel momento, ne ha fatto il motore delle rappresentazioni teatrali, seggiole comprese, quando gli spettacoli vengono fatti nelle piazze di paese e gli spettatori portano la propria seggiola da casa. Altra prerogativa di questi spettacoli è l’assenza di scenografie, perché spesso sono i luoghi speciali, in cui la Compagnia recita, che creano gli sfondi suggestivi per godere delle rappresentazioni.
La formazione teatrale di Fabio Baronti inizia da ragazzo, in parrocchia. Mi confida che era timidissimo, tanto che il suo ruolo, per un periodo, fu quello del suggeritore, finché non arrivò il momento di calcare la scena, perché un attore si ammalò e a lui, che conosceva bene la parte, proposero di sostituirlo. Di lì a poco entrò al Teatro dell’Oriuolo, di cui ricorda, con molto piacere, i suoi maestri: Gino Susini e Vanna Spagnoli. Lì, ebbe una vera formazione teatrale, trascorrendo, in quel teatro, ogni momento libero, nel periodo in cui faceva il militare.
Facciamo un piccolo accenno a quella realtà di teatro fiorentino, che, oggi, non esiste più: su quelle scene hanno recitato attori del calibro di Paola Borboni, Ottavia Piccolo, Ave Ninchi, i fratelli Giuffré, Arnoldo Foà, giusto per citarne alcuni. Era un teatro stabile professionale e, dal 1962 al 1966, si chiamò proprio Teatro Stabile. Concluso il piccolo inciso, torniamo al mestiere-passione di Fabio. Dopo l’esperienza con il Teatro dell’Oriuolo, gira con un po’ di compagnie: “Per me, importante era stare in compagnia, anche con ruoli minori. Il mio desiderio era recitare, di sera, mentre di giorno, svolgevo, e svolgo tuttora, il mio lavoro di bancario”. E arriviamo al 1999, anno in cui prende vita, con la formazione delle Compagnia delle Seggiole, anche un’associazione culturale che, oltre a consentire di accedere a una serie di percorsi, dà un’identificazione a un gruppo di persone. Di queste, 20 sono lo zoccolo duro, ma nel corso degli anni ne sono passate più di un centinaio. Più volte ribadisce l’importanza del gruppo: in questo il capocomico ha una grande responsabilità, la base è il rispetto reciproco fra i componenti e «accettarci per come siamo», afferma con un bel sorriso. Prosegue, parlando sempre del gruppo. Ravviso quanto tenga ad ognuno degli attori, quando sostiene che il punto di forza della Compagnia è proprio basato sull’ascoltare e lasciare spazio a ciascuno, affinché abbiano soddisfazione. Quando mi dice che in pre-pandemia arrivavano a fare ben 150 rappresentazioni l’anno, comprendo in pieno l’affermazione: “Voglio il meglio per la Compagnia”. Poi mi dice che ha sempre favorito “la pizza alla qualità” e questo mi lascia un po’ interdetta, dato che, in ogni loro spettacolo, ho sempre visto la qualità. Trovo, però, in queste sue parole, quella dose di sana umiltà con la quale riconosce che non tutti gli spettacoli sono eccelsi, pur ribadendo che alla base di tutto c’è il rispetto per coloro che hanno pagato il biglietto: “Non si deve tradire la fiducia degli spettatori!”.
Ci tengo a dirgli che ad oggi, da spettatrice, non mi sono mai sentita tradita. Non solo: grazie ai “viaggi teatrali” della Compagnia delle Seggiole, ho scoperto tante perle della nostra città. Ne cito una, ma ce ne sarebbero molte altre: il Teatro della Pergola, che ho avuto il piacere di visitare niente di meno che con Antonio Meucci, interpretato da lui. Sorride e con una punta di orgoglio mi dice che è fiero della collaborazione con il Teatro della Pergola e mi racconta che, proprio in questi giorni, una signora, facendo i complimenti alla Compagnia lo ha anche ringraziato, perché proprio con questi viaggi teatrali, che al momento sono 33, le cose più belle di Firenze le ha scoperte con loro. “La maggior parte delle persone, durante il giorno, lavora e non ha modo di poter fare delle visite, per esempio, nei Palazzi storici. Ecco, il viaggio teatrale è l’occasione di riappropriarsi di questi spazi: consente ai toscani di assaporare i luoghi per lo più chiusi di sera, oppure di accedere a luoghi che non sono aperti al pubblico, se non per i nostri spettacoli”. Più volte ribadisce l’importanza del territorio, del teatro fruibile a tutti, e l’espressione “lasciare i piatti nell’acquaio per farli quando si rientra a casa”, la dice lunga sul concetto di teatro che ha, assolutamente non in conflitto con l’altro tipo di teatro, quello con scenografie e poltroncine comode. È, in parte, la risposta alla mia domanda sul come fare per portare la gente a teatro, per avvicinare anche coloro, che non possono, per i motivi più disparati, assistere a spettacoli nei luoghi deputati. L’idea sta proprio in quell’acquaio: creare un circolo virtuoso nei vari rioni, con il teatro di quartiere, che permetta di assistere a uno spettacolo a dieci minuti a piedi da casa, poter mollare tutto a fine cena e tornare in tempo utile “per lavare i piatti”. Questa nuova forma d’intrattenimento per i cittadini, che ha riscosso un notevole successo, è nata sulla scia dell’idea di un parroco che propose a Baronti e alla Compagnia delle Seggiole di fare delle letture nella parrocchia di Quaracchi, che è quella in cui Fabio è nato e vive tuttora. Il prete suggerì di leggere le vite dei Santi: “Tutti i lunedì sera alle 21, né un minuto di più né un minuto di meno – tiene a precisare – iniziavamo: una candela, due lettori e niente altro, ogni volta avevamo dalle 80 alle 100 persone”.
Torniamo alla seggiola: dal 2016, nelle piazze più incredibili e impensabili di Firenze e zone limitrofe, la Compagnia porta, con le estati fiorentine, una serie di spettacoli dedicati alla trasmissione radiofonica “il Grillo canterino”, accompagnati dalle canzoni di Odoardo Spadaro (Grillo Swing). Le persone si portano la seggiola per stare a veglia e, rapidamente, si superano le cinquanta repliche. Grazie a questo profondo amore per il teatro, e la diffusione degli spettacoli sul territorio, la Compagnia delle Seggiole ha ricevuto nel 2022 il premio alla cultura da parte del Quartiere 4.
Un’altra idea vincente nacque nel 2005: “Abbinare intrattenimento e cibo funziona!” mi dice Fabio Baronti. Fu così che prese vita “Cena con delitto”, successo confermato da 500 serate, in cui gli attori coinvolgevano il pubblico con un’offerta particolare, frutto di una ricerca di Fabio delle registrazioni di Radio Gialli di Ellery Queen. Il fine era, grazie alle letture, quello di coinvolgere il pubblico, affinché scoprisse l’assassino, il tutto con l’ausilio dei rumori ed effetti sonori usati in radio.
Le domande che ho per Fabio sono ancora tante, cerco di concentrarle per non rubargli altro tempo. Un luogo insolito in cui hanno fatto uno spettacolo: “Molti, ma mi viene in mente l’Ikea, anche perché ne sono fiero: siamo stati i primi. Mi hanno telefonato dalla Svezia per ringraziarmi di questa iniziativa. Sai, spesso succede che da padrone divento garzone, ovvero: ti copiano e ti fa piacere, ma poi sparisci”. Gli chiedo come nascano i testi: “Abbiamo scrittori di riferimento e i testi sono prettamente legati al luogo che ci ospita”. Alla domanda su quanto tempo gli assorbe questa attività, risponde “Tanto” e, anche se constata che le energie con l’andare degli anni “sono diverse”, gli si illuminano gli occhi: “Il nostro è un teatro, che ci siamo inventati per il pubblico e senza pubblico il teatro non ha ragione di esistere. La sala deve essere piena, ne abbiamo bisogno, perché sono gli spettatori che ti sostengono, è l’atmosfera che ti spinge a dare il meglio, anche quando sbagli. La papera è l’essenza del teatro vero! Significa che condivido con te l’umanità. Ogni replica è unica!”.