In questa pagina sono pubblicate le tradizioni raccolte durante le serate di “Parole e Suoni della Tradizione”, lo spettacolo promosso assieme al Coro La Martinella di Firenze e dedicata alle tradizioni della cultura popolare toscana.
Giovedì 15 dicembre al Teatro Puccini di Firenze si è svolta la serata conclusiva di Parole e Suoni della Tradizione, lo spettacolo promosso con il Coro la Martinella del CAI di Firenze nell’ambito dell’Autunno Fiorentino e che per dieci giovedì ha visto protagonisti le parole ed i suoni della tradizione toscana, con il coinvolgimento del pubblico.
Durante le serate abbiamo raccolto le vostre parole, le vostre storie, le vostre canzoni legati alla nostra tradizione. Le pubblichiamo in questa pagina ringraziandovi tutti per la partecipazione ed il contributo.
Filastrocche
Il re del Portogallo
Va a trovare la regina
Che fa la torta con la farina
La farina è troppo bianca
La regina è molto stanca
Molto stanca del lavoro
Esci fuori e vai con loro
–
Bum passa Paperino
Con la pipa in bocca
Guai a chi la tocca
La tocchi proprio te
Un due tre.
Quando è il tempo delle ciliegie
Le vianelle le vanno a cogliere
Le vanno a cogliere col panierino:
questo è il frutto del mio giardino
–
Domani l’è festa
Si mangia la minestra
La minestra non mi piace
Si mangerà la brace
La brace è troppo nera
Si mangerà la pera
La pera è troppo bianca
Si mangerà la panca
La panca è troppo dura
Si va a letto addirittura!
–
Staccia buratta
Martino della gatta;
la gatta va al mulino,
a far lo schiaccino,
col pepe,
col sale,
con il codin del cane.
Staccia buratta
Gattino della gatta
La gatta andette al colle
La tornò tutta molle
La fece un focaccino
Col pane e col vino
Col pepe e col sale
Con il codin del cane
Ona ona ona
Ma che bella rificolona
Ell’è più bella la mia di quella della zia
La mia è con i fiocchi
E la tua con i pidocchi!
–
Questo è l’occhio bello,
questo è il suo fratello.
Questa è la chiesina,
questo è il campanello.
Dlin dlin dlin dlin dlin,
dlin dlin dlin dlin dlin.
Ho testina bionda,
guancia rubiconda.
Bocca sorridente,
fronte innocente,
Dlin dlin dlin dlin dlin,
dlin dlin dlin dlin dlin
–
Mamma Cecco mi tocca
Ma chi ti tocca
Mamma Cecco mi tocca
Ma chi ti tocca
Smettetela e giocate tranquilli che devo fare le faccende
Toccami Cecco, toccami Cecco che la mamma un vede!
Cecco bilecco
Monta sullo stecco
Lo stecco si rompe
E Cecco va sul ponte.
Il ponte si rovina
E Cecco s’infarina
La farina la si staccia
E Cecco si sculaccia!
Anna
Cavallino arrò arrò
Prendi la biada che ti do
Prendi la sella che ti metto
Per andare da San Benedetto
San Benedetto è sulla via
Cavallino trotta via!
Mariacristina
Andai alla fontanella
Mi ci lavai le mani
Mi ci cascò l’anello
Pesca e ripesca
Pescai un pesciolino
Vestito di turchino
Andai da mon signore
Mon signor non c’era
C’era la cameriera
Che faceva le frittelle
Gliene chiesi una
Ma era troppo dura
La misi sulla panca
Che era un po’ stanca
Sotto la panca c’era il lupo
Lupo lupetto
Non sapeva fare il letto
I topi nella stalla
Rodevano la paglia
La chioccia per la via che cantava l’Ave Maria
Andai alle fontane e mi lavai le mane
Pesca e ripesca pescai un
pesciolino
Era bellino era d’un signore
Il signore non c’era,
c’era la cameriera
La cameriera al banco
il banco era rotto
Sotto c’era un pozzo, il pozzo era scoperto
Dentro c’era un letto,
il letto era disfatto
Dentro c’era un gatto.
IL gatto in camicia
Scoppiava dalle risa. I topi per le scale
I gatti per la via. Buona sera signoria!
Anna
C’era una volta una donnina piccina piccina picciò
C’aveva una gallina piccina piccina picciò
Che faceva un ovino piccino piccino picciò
Allora la donnina piccina piccina picciò
Prese l’ovino piccino piccino picciò
E fece una frittatina piccina piccina picciò
La mise su una finestrina piccina piccina picciò
Passò una moschina piccina piccina picciò
E gliela mangiò.
Quella moschina piccina piccina picciò
Si posò sul naso di un omone grosso grosso
E la donnina piccina piccina picciò
Prese una palettina e la schiacciò
E gli fece venire un bernoccolo grosso grosso
Sul quel naso di quell’uomo grosso grosso
Anna
–
La pigrizia andò al mercato e un bel cavolo comprò,
mezzogiorno era suonato quando a casa ritornò,
prese l’acqua accese il fuoco si sedette e riposò ed intanto a poco a poco anche il sole tramontò
e la povera pigrizia a letto senza cena se ne andò.
Angela
Briccicù Briccicù quante corna c’è quassù?
Due
E se tre tu ne dicevi la cavalla tu vincevi
Briccicù Briccicù quante corna c’è quassù?
Simona
Lucciola lucciola
Vien da me,
ti darò il pan del Re
il pan del Re e della Regina
lucciola lucciola birichina
Marcella
“La novella dello stento
che dura tanto tempo
la volete senti’?”
SI
“Non si dice sì alla
novella dello stento
che dura tanto tempo
la volete senti’?”
NO
*Si ricominciava dall’inizio e segnava la fine de momento in cui le nonne raccontavano ai bambini le novelle.
Vally
CECCO BILECCO,
MONTA SULLO STECCO
LO STECCO SI ROMPE
E CECCO VA SUL PONTE
IL PONTE SI ROVINA
E CECCO S ‘INFARINA
LA FARINA LA SI STACCIA
E CECCHINO SI SCULACCIA
SE LA FECE NEI CALZONI
LA SU ‘ MAMMA LO PICCHIO’
PORO CECCO S’AMMALO’
S’AMMALO’ DI MALATTIA
PORO CECCO LO PORTONNO VIA
LO PORTONNO ALL’OSPEDALE
PORO CECCO STAVA MALE
LO PORTONNO AL CAMPO SANTO
PORO CECCO GLI STETTE TANTO
Anna
–
Il Chicco di grano.
Chiccolino di grano dove stai?
Sotto terra non lo sai.
E la sotto non fai nulla?
Dormo dentro la mia culla.
Ma se tanto dormirai chiccolino che farai?
Una spiga metterò e tanti chicchi ti darò.
Marco
Alla fiera di mastr’André
Oggi ho comprato un piffariello
Piripipi il piffariello
Alla mirè alla mirè alla fiera di mastr’André
Alla fiera di mastr’André
Oggi ho comprato un tamburello
Bem bem il tamburello
Piripipi il piffariello
Alla mirè alla mirè alla fiera di mastr’André
(E si va avanti con
Il violino – frin frin
La chitarra – blen blen
La trombetta – perepè
Il trombone – poropò
Il tamburo – tum tum
La grancassa – bum bum)
Francesca
Larga è la foglia,
stretta è la via
dite la vostra che io ho detto la mia
Vilma
CANZONI
– Dentro un vaso di porcellana c’era una bella cinesina che ballava la samba americana
Simona
– La donnina che semina il grano
volta la carta e si vede il villano
il villano che zappa la terra
volta la carta e si vede la guerra
la guerra con tanti soldati
volta la carta si vede i malati
i malati con tanto dolore
volta la carta , si vede il dottore
il dottore che fa le ricette
volta la carta si vedon civette
le civette che van per la via
volta la carta ,si vede Lucia
Lucia che fila il lino
volta la carta si vede Arlecchino
Arlecchino che fa lo sgambetto
volta la carta , si vede il galletto
il galletto che canta forte
volta la carta si vedon le porte
dalle porte ci passa la gente
volta la carta ! Non si vede più niente
Massimiliano
Buondì mio Cecco Beppe
Perché un viensì
Un viensi perché piosse
L’ombrello un lao
Se tu venii da mene te l’imprestao
Ma per venire da tene io mi bagnao
Viviana
– La mazurka della mi’ nonna
E la mazurka che ballava la mia nonna
Con le trecce ciondoloni
con i mutandoni fino alla mia gonna
ed il mio nonno caporal di fanteria
stette quattro giorni in posa
per mandare a Rosa la fotografia!
Alessandro e Bruna
– Lo spazzacamino
Paolo
NINNA NANNE
Ninna nanna fiorentina
Fate la nanna coscine di pollo
che la mamma vi ha fatto un gonnello
ve l’ha fatto con lo smerlo attorno
fate la nanna coscine di pollo
ninna nanna ninna oh
oh bambino della mamma
della mamma e di Gesù
il bambino non piange più
Fate la nanna begli occhi di sole
il letto è fatto di tutte le viole
e le coperte di panno sottile
fate la nanna begli occhi di sole
*oppure
Fate la nanna e possiate dormire,
sia il vostro letto di rose e viole
e la coperta di panno sottile,
fate la nanna e possiate dormire
ninna nanna ninna oh
oh bambino della mamma
della mamma e di Gesù
il bambino non piange più
Anna, Simona e Paola
Una donna aveva un amante che veniva a trovarla quando il marito era fuori per lavoro la sera. Per informare l’amante della presenza del marito in casa si era accordata così: se il marito c’era piantava una canna nell’orto, se la canna non c’era non c’era nemmeno il marito. Una sera il marito era rimasto in casa per il vento forte, vento che fece cascare la canna allora la donna, disperata perché vedeva avvicinarsi a casa sua l’amante, si mise alla finestra a cantare questa canzoncina: è stato il vento a buttar giù la canna, bambino fai la nanna che il babbo l’è con te!
Sabrina
Ninna nanna sette e venti il bambino s’addormenti.
Ninna nanna sette e venti i bambino gli ha messo i denti.
E n’ha messi una ventina fra stasera e domattina.
Ninna nanna nanna ieri e le scarpe non son panieri
I panieri non son le sporte e la vita non è la morte
E la morte non è la vita e la storia l’è già finita.
Ninna nanna sette e venti il bambino s’addormenti.
Anna
TESTIMONIANZE
– Quell’agosto del ’44, fatti dell’Oltegreve fiorentino
Maurizio
–
MODI DI DIRE
– Porco pulito un fu mai grasso!
– Piange Torino quando il Prence parte
Esulta Roma quando il Prence arriva
Ma Firenze, città culla dell’arte, se ne infischia quando arriva e quando parte.
– Vai a fare l’erba ai’treno per dire fare una cosa inutile
Emanuela
– Vai a fare una girata!
Caterina
– Vai a soffiare i’naso ai paperi! (quando qualcuno diceva o faceva qualcosa di insenato)
Angela e Paola
– Dove vai tutta chicchera e piattini? Per dire tutta ben vestita.
– Le nonne, per passare il tempo cucivano: il soppunto, il sopraggitto, l’impuntura, il punto a croce etc. Quando la riparazione di uno strappo non era fatta a modo perfetto, si diceva «O nini e tu hai fatto un frinzello!» e poi si recitava questa filastrocca: Le manine laboriose, quante cose sanno fare, san lavare, san stirare, san pulire e ricamare.
– Tutto fa brodo!
Diego
STORIE
– Il lupo e la volpe
– La gallina secca: condivido questo racconto che la mia nonna Iva mi narrava quando non volevo mangiare qualcosa che lei riteneva particolarmente nutriente perché crescessi forte e sano, come ad esempio la zuppa di pane. Allora mi diceva:”un farai mica come la gallina secca!?!”.
La novella ha inizio in un contesto molto preciso. Siamo alle pendici dell’Amiata, nel paese di Casteldelpiano e, in particolare, negli orti che stavano fra via della Fonte e via di Montagna. Qui, al limitare del paese di allora, viveva una donnina che campava soltanto grazie ai pochi prodotti di un misero orticello e alle uova di un’unica gallina alla quale era tanto affezionata. La gallina aveva sempre ricambiato l’affetto dell’anziana signora producendo tante uova che la vecchia poteva anche vendere. Ma un brutto inverno la gallina iniziò ad immalinconirsi e a diventare sempre più “spizzeca” (a mangiare sempre meno) tanto che diventava sempre più secca e non faceva più le uova. La vecchina disse allora alla “beschia” (bestia): “Cara gallina secca, lo sai quanto ti voglio bene, ma senza le tue uova mi è sempre più difficile sbarcare il lunario. Povera gallina secca, io ti capisco sai? Ti senti sola e triste sempre qui in questo pollaio. A malincuore, ma con la speranza di rivederti un giorno, è bene che tu vada per la tua strada a vedere un po’ di mondo, a mangiare bene e respirare aria fresca. Vai verso la montagna, dove troverai la faggiola con cui nutrirti e le sorgenti per dissetarti e fare dei bei bagni. Quando ti sarai rimessa in forze spero che tu vorrai ritornare da me e potremo ritornare ad essere felici insieme.” La gallina secca ringraziò la donna e fra qualche lacrimuccia di addio e con passo incerto per la debolezza si avviò su su per la via di montagna, passando dalle Ciaccine, dal seccatoio di Mangiavacche, dalle Prodate… Finchè poco prima di arrivare alla faggeta, da dietro un grigio sasso vulcanico, spuntò un grosso lupo affamato cha alla vista della gallina già pregustava un gustoso spuntino. Disse allora la gallina secca: ”Caro lupo capisco che tu abbia fame, ma cosa avresti da mangiare qui che sono tutta penne e piume. La mia padrona, alla quale voglio tanto bene, mi ha detto di venire in montagna per rimettermi in sesto. Lasciami andare per ora a mangiar faggina, respirare aria fresca e bere acqua bona, così metterò su un po’ di ciccia e mi potrai mangiare, con più soddisfazione, al mio ritorno in paese alla fine dell’estate.” Il lupo trovò questa proposta allettante e lasciò andare la gallina ad una condizione: ”Vai pure gallina secca, ma se non tornerai da queste parti sul far dell’autunno andrò in paese a mangiare la tua padrona che ti è tanto cara!” La gallina ripartì e arrivata nella zona della Madonna del Camicione, trovò un ambiente ideale per passare il suo soggiorno in montagna. C’era un bel ruscello, tanta faggina e qualche bel sasso sotto il quale costruì un nido accogliente, caldo e asciutto. E fra una camminata e l’altra, una buona mangiata di faggina e una bella bevuta di acqua fresca, dopo qualche settimana riprese a fare anche le uova! E cova oggi, cova domani le uova un bel giorno si schiusero e una decina di pulcini iniziarono a razzolare per la faggeta, a mangiare e a bere di gusto crescendo forti e sani. La gallina era felice, aveva ripreso forza e si ritrovava con tanti bei figlioli che le correvano dietro nelle loro camminate fra i faggi. Giorno dopo giorno l’estate stava volgendo al termine e il momento in cui sarebbe dovuta tornare in paese si avvicinava. Era ansiosa di ritrovare la sua cara vecchina, condividere la gioia della forza ritrovata e soprattutto la sorpresa di tutti quei pulcini al seguito che avrebbero portato compagnia e allegria a tutte e due. Ma un velo di tristezza le oscurò gli occhi quando si ricordò della promessa fatta al lupo: se non l’avesse mantenuta il lupo avrebbe mangiato la sua padrona. Non poteva permetterlo, ma le si stringeva il cuore a pensare di portare se stessa e soprattutto tutti i suoi pulcini (che ormai erano diventati bei pollastrelli) nelle fauci del lupo… cosa poteva fare? Non c’era proprio soluzione… quindi decise, a malincuore, di incamminarsi sulla via del ritorno con tutto il seguito della sua prole. Arrivata che fu nella zona dove i faggi lasciano il posto ai castagni, il lupo le si fece incontro tutto contento alla vista di quel ben di Dio: una gallina secca diventata grassa e uno stuolo di pollastri saltellanti!! C’era da mangiare per un reggimento di lupi. Il lupo andò incontro alle bestiole e dopo essersi rallegrato con la gallina per avere mantenuto la parola si mise un bel tovagliolo al collo e si apprestò ad afferrarla con i suoi dentoni affilati. Sembrava tutto finito… addio mondo. Ma fu in quel momento che i pulcini, vedendo che la bestiaccia voleva fare del male alla loro mamma, saltarono addosso al lupo e becca di qua becca di là riuscirono a cavargli gli occhi così che il lupo, dolorante e accecato, non poteva più essere pericoloso. I pulcini baldanzosi si riunirono intorno alla gallina e tutti insieme ritornarono sani e salvi in paese dove la vecchina, appena li vide, abbracciò tutti loro dalla contentezza e organizzò una grande festa alla quale prese parte tutto il paese!
Alessandro
– O mi compri l’Ocio o io bocio!
Diego
PASSATEMPO
– Andare di notte nel fiume a pescare il ghiozzo con la forchetta (Marcella)
– Pescare i girini (Marcella)
– Prendere i foracchi tirarli addosso alle persone e vedere quanti (Marcella)
rimanevano attaccati, quelli erano i fidanzati che si avrebbe avuto nella vita (Marcella)
– Prendere i boccioli dei papaveri e vedere se si indovinava se erano maschi (rossi) o femmine (rosa). (Marcella)
– Vedere la Tv dei ragazzi tutti insieme in una casa nello stesso condominio (Marcella)
–
SABRI
Il Giornale dei bambini viene ideato da Ferdinando Martini, che lo dirige per i primi due anni, ed è un’emanazione del Fanfulla della domenica, notissimo periodico sul quale scrivono le migliori penne d’Italia. Viene stampato a Roma nella Tipografia dei Fratelli Bencini.
Le pubblicazioni durano dal 7 luglio 1881 al 26 giugno 1889, quando viene assorbito dal Giornale dei Fanciulli di Milano.
Lo dirige il fondatore Ferdinando Martini fino al 12 aprile 1883, quando la direzione passa a Carlo Collodi.
Fin dal primo numero i collaboratori sono numerosi e assai noti… Sanguinetti, D’Annunzio, Giacosa, Lemonnier, Matilde Serao…
La fortuna del Giornale dei bambini deve molto alla pubblicazione della Storia di un burattino (dal primo numero del luglio 1881 al febbraio 1883).
Vale la pena ricordare come andarono le cose.
Nella libreria dei Fratelli Paggi, insieme con Giuseppe Rigutini, Silvio e Filippo Pacini, si aggirava Carlo Lorenzini, pesce fuor d’acqua, guizzante di sprazzi di intelligenza vivacissima. Già nel 1876 Alessandro Paggi l’aveva involontariamente avviato alla carriera di scrittore, chiedendogli di tradurre i Racconti delle Fate di Perrault, a cui eran seguiti presto Minuzzolo e Macchiette.
Ma Lorenzini conduceva una vita disordinata, e nella primavera del 1881, mentre Ferdinando Martini e Guido Biagi stavano organizzando l’uscita del Giornale, egli continuava a perdere al giuoco e aveva la testa solo alla bisca, per cui vane eran le richieste di collaborazione dei due amici.
In seguito ad una nottataccia di sfortuna più cocciuta del solito, Lorenzini mandava a Biagi 4 cartelle con l’incipit della Storia di un burattino, con un bigliettino:
“Ti mando questa bambinata, fanne quel che ti pare. Ma se la stampi, pagamela bene, per farmi venir la voglia di seguitarla!”
Per qualche tempo le puntate ebbero un andamento ad alti e bassi.
Quando all’alba, uscendo dalla bisca di Palazzo Davanzati, sentiva tintinnare qualche soldo, dava una scrollata di spalle e di pigliar la penna in mano non se ne parlava più.
Tanto che i piccoli lettori scrivevano al Giornale per sapere come andassero a finire le avventure del burattino, e per protestare se, per qualche settimana di fila, non v’erano notizie.
Sul n° 10 (novembre 1881) il direttore Martini scriveva:
“Il signor C. Collodi mi scrive che il suo amico Pinocchio è sempre vivo, e che sul conto suo potrà raccontarvene ancora delle belle. Era naturale: un burattino… un coso di legno come Pinocchio ha le ossa dure, e non è tanto facile mandarlo all’altro mondo. Dunque i nostri lettori sono avvisati: presto, presto cominceremo la seconda parte della Storia di un burattino intitolata Le avventure di Pinocchio!”
Ma prima che si avessero notizie si dovette aspettare il n°7 del 1882. Nel marzo ancora un’interruzione! Poi qualche putata… poi di nuovo silenzio! Poi si arrivò al n°22 nel giugno 1882. Su sollecitazione dei piccoli lettori, finalmente le avventure videro la conclusione nel n°4 del 1883!
Qualche mese dopo l’editore Paggi pubblicava Le avventure di Pinocchio in volume, e le faceva illustrare da Enrico Mazzanti, in sostituzione dei tratti appena accennati dallo sconosciuto illustratore del Giornale.
Roma 7 luglio 1881 – Anno I – Numero I
Come andò….
Fabio à O fossero stanchi di aver giuocato troppo a moscacieca o veramente avessero voglia di leggere, fatto sta che quella sera i ragazzi presero ognuno un libro e se ne andarono in un angolo remoto del giardino. Subito che furono accoccolati sull’erba, Carlo che era il più grande e il più prepotente e che aveva preso da poco l’esame di quarta elementare, apri la sua brava storia romana e alla Mariuccia che aveva un anno meno di lui, disse:
Giovanni à Siamo rimasti a Spurio Cassio.
Sabrina à Chi era?
Fabio à domandò la Nina.
Giovanni à Zitta. Sarà un brutto gigante di quelli che fanno male ai bambini che poi viene la fata bianca…..
Fabio à Mormorò Topolino. Ma la Nina non fu persuasa e alzatasi e messe le mani sul libro che Carlo teneva aperto sopra le ginocchia, ridomandò:
Sabrina à È vero che Spu… questo che hai nominato, era un gigante di quelli,…
Giovanni à Chetati.. seccatrice.
Sabrina à Me l’ha detto Topolino.
Giovanni à Topolino è un seccatore anche lui!
Fabio à conchiuse Carlo, e prima che la Nina avesse tempo di replicare cominciò a leggere:
Giovanni à «Spurio Cassio era il personaggio più insigne del tempo suo»
Sabrina à Che vuol dire insigne?
Giovanni à Se non lo sai cercalo sul vocabolario.
Sabrina à lo non ce l’ho il vocabolario.
Giovanni à Insigne, insigne… Come si fa a non sapere quel che vuol dire insigne? Vuol dire alto, generoso forte, ricco, brava persona.
Sabrina à Senti, senti…
Fabio à osservò spalancando gli occhi la Nina
Sabrina à quante cose vuol dire
Giovanni à “Costui destò le ire della propria casa.”
Sabrina à Dice casta!
Fabio à osservò la Mariuccia che teneva dietro cogli occhi alla lettura.
Giovanni à O casa o casta, è la stessa! “proponendo la legge che fu detta legge agraria…
Sabrina à No, smetti, questa non è divertente! Non si capisce nulla! Tutte parolaccie…
Giovanni à Ma che parolacce: se non le capisci e colpa tua.
Sabrina à Questo poi no! Se è un libro che lo dobbiamo leggere noi, bisognerebbe che ci mettessero delle parole che le intendiamo, o se no bisognerebbe ce le spiegassero.
Fabio à La Nina e Topolino, incoraggiati da quell’uscita, mettendosi tanto di mani sui fianchi, gridarono in coro:
Giovanni e Sabrina à Questa no! Questa no! Una novella!
Sabrina à Quella del gatto stivalato’
Giovanni à Quella dei quattro maghi e del pastore!
Fabio à Ma che novella! Voi altri non segnate altro che novelle. C’era una volta un re… che aveva tre figliuole. La più piccina si chiamava Rosetta, ed era bella come un occhio di sole..
Giovanni à La Nina e Topolino capirono la canzonatura: e senza fiatare e combinandosi in uno stesso pensiero s’alzarono, presero i loro libri e fecero per andarsene.
Fabio à Ecco subito i permalosi! Guardateli lì, se non si fa a modo loro, subito se ne vanno. Dove andate, si può sapere?
Giovanni à E Topolino con un dito fra’ denti e guardando cogli occhi fìssi Michele che l’interrogava.
Fabio à Via.
Sabrina à Via.
Giovanni à A far che?
Fabio à A leggere da noi.
Sabrina à Da noi.
Giovanni à Vadano! disse la Mariuccia, facendo una reverenza. La Nina e Topolino non se lo fecero dire 2 volte e infilarono il viale abbracciati, portando seco i loro libri di novelle. Ma il piacere di leggere quei racconti che, tanto li avevano letti e riletti, dovevano oramai sapere a memoria, non appariva loro come un piacere completo. Quando il babbo, che dal terrazzo li aveva visti andar via cogli altri, dallo stesso luogo li scorse tornare:
Fabio à Che c’è? Che è stato? Vi siete leticati secondo il solito?
Giovanni à Carlo ci canzona.
Sabrina à La Mariuccia ci fa le reverenze.
Fabio à Subito appena udirono pronunziata l’accusa, gli accusati in tre salti furono dirimpetto al giudice, ossia al babbo.
Giovanni à Non è vero. Io volevo leggere la storia romana e loro non vogliono sentire che novelle.
Sabrina à No! Io sto a sentire tutto… ma io certe parole… e poi lui non spiega… e oggi c’era uno Spu… Spu… che… Io anche le bestie mi divertono…. se avessi un bel libro di bestie….
Fabio à Bene! Vi comprerò il libro delle bestie.
Sabrina à No senti! Un libro si legge presto e poi quando s’è letto una volta o due si sa a mente e non si guarda più. Compraci…… Sai, babbo quelle bimbe americane che erano ai bagni con noi l’anno passato? Sai, loro ogni settimana avevano dal postino un libro. No un libro….
Fabio à Un giornale?
Sabrina à Si un giornale….
Fabio à Ah! già …,
Sabrina à Oh! Tu avessi visto, babbo mio, com’era bello! Senti, c’erano tante figure e tante cose da leggere; in una pagina c’era una novella e in un’altra raccontavano quei che fanno certi animali e in un’altra una cosa di storia…..
— E le vite de’ fanciulli celebri.
— E tante poesie carine da impararsi a mente.
— E la descrizione di certe fabbriche ove fanno i mobili, gli aghi.
— E tanti viaggi in Africa, in Asia.
— C’era fino il teatro dei burattini.
— Sì, si, i burattini. Me ne ricordo. C’era una figurina d’un teatrino con tanti bambini.
Ha ragione Topolino.
Ah! Com’era bello.
— Compraci quello, babbo, compraci quello….
— Figliuoli miei, quello è impossibile ve lo compri . . .
— Perché?
— Perche in Italia non c’è ….
— Perché non lo fanno?
— Perché, perchè …. conchiuse il babbo – il perché non lo so nemmeno io… Andate, siate buoni e se codesti libri non gl’intendete o li sapete a memoria, ve ne comprerò degli altri.
In un’altra occasione quella promessa avrebbe messo di molto buon umore i ragazzi: ma quel giorno non fece loro né caldo né freddo. Ormai la Mariuccia aveva ridestato nelle menti loro il ricordo del bel giornale americano veduto ai bagni, e il desiderio di averlo tanto più vivo quanto era più difficile l’appagarlo.
E intanto il babbo rimuginava le domande ultime dei bambini.
– Perche non c’è? Perchè non lo fanno?
E aggiunse del suo:
Perché quel che si fa per i bambini in America, in Inghilterra, in Francia, non s’ ha da fare in Italia?
Tante volte si fece queste interrogazioni, che alla fine giudicò utile di rispondere non colle parole ma co’fatti.
E la risposta, ragazzi miei, eccola qui.
Federico Martini.
La Storia Di Un Burattino
Fabio à — C’era una volta… — Un re! — diranno subito i miei piccoli lettori. — No, ragazzi, avete sbagliato. C’era una volta un pezzo di legno. Non era un legno di lusso, ma un semplice pezzo da catasta, di quelli che d’inverno si mettono nelle stufe e nei caminetti per accendere il fuoco e per riscaldare le stanze. Non so come andasse, ma il fatto gli è che un bel giorno questo pezzo di legno capitò nella bottega di un vecchio falegname, il quale aveva nome Mastr’Antonio, se non che tutti lo chiamavano maestro Ciliegia, per via della punta del suo naso, che era sempre lustra e paonazza, come una ciliegia matura. Appena maestro Ciliegia ebbe visto quel pezzo di legno, si rallegrò tutto; e dandosi una fregatina di mani per la contentezza, borbottò a mezza voce:
— Questo legno è capitato a tempo; voglio servirmene per fare una gamba di tavolino. —
Detto fatto, prese subito l’ascia arrotata per cominciare a levargli la scorza e a digrossarlo; ma quando fu lí per lasciare andare la prima asciata, rimase col braccio sospeso in aria, perché sentí una vocina sottile sottile, che disse raccomandandosi:
— Non mi picchiar tanto forte! —
Figuratevi come rimase quel buon vecchio di maestro Ciliegia!
Girò gli occhi smarriti intorno alla stanza per vedere di dove mai poteva essere uscita quella vocina, e non vide nessuno! Guardò sotto il banco, e nessuno; guardò dentro un armadio che stava sempre chiuso, e nessuno; guardò nel corbello dei trucioli e della segatura, e nessuno; aprí l’uscio di bottega per dare un’occhiata anche sulla strada, e nessuno. O dunque?…
— Ho capito; — disse allora ridendo e grattandosi la parrucca — si vede che quella vocina me la son figurata io. Rimettiamoci a lavorare. —
E ripresa l’ascia in mano, tirò giù un solennissimo colpo sul pezzo di legno.
— Ohi! tu m’hai fatto male! — gridò rammaricandosi la solita vocina.
Questa volta maestro Ciliegia restò di stucco, cogli occhi fuori del capo per la paura, colla bocca spalancata e colla lingua giù ciondoloni fino al mento, come un mascherone da fontana.
Appena riebbe l’uso della parola, cominciò a dire tremando e balbettando dallo spavento:
— Ma di dove sarà uscita questa vocina che ha detto ohi?… Eppure qui non c’è anima viva. Che sia per caso questo pezzo di legno che abbia imparato a piangere e a lamentarsi come un bambino? Io non lo posso credere. Questo legno eccolo qui; è un pezzo di legno da caminetto, come tutti gli altri, e a buttarlo sul fuoco, c’è da far bollire una pentola di fagioli… O dunque? Che ci sia nascosto dentro qualcuno? Se c’è nascosto qualcuno, tanto peggio per lui. Ora l’accomodo io! —
E così dicendo, agguantò con tutte e due le mani quel povero pezzo di legno, e si pose a sbatacchiarlo senza carità contro le pareti della stanza.
Poi si messe in ascolto, per sentire se c’era qualche vocina che si lamentasse. Aspettò due minuti, e nulla; cinque minuti, e nulla; dieci minuti, e nulla!
— Ho capito; — disse allora sforzandosi di ridere e arruffandosi la parrucca — si vede che quella vocina che ha detto ohi, me la son figurata io! Rimettiamoci a lavorare. —
E perché gli era entrata addosso una gran paura, si provò a canterellare per farsi un po’ di coraggio.
Intanto, posata da una parte l’ascia, prese in mano la pialla, per piallare e tirare a pulimento il pezzo di legno; ma nel mentre che lo piallava in su e in giú, sentì la solita vocina che gli disse ridendo:
— Smetti! tu mi fai il pizzicorino sul corpo! —
Questa volta il povero maestro Ciliegia cadde giú come fulminato. Quando riaprì gli occhi, si trovò seduto per terra.
Il suo viso pareva trasfigurito, e perfino la punta del naso, di paonazza come era quasi sempre, gli era diventata turchina dalla gran paura.
Ai nostri piccoli lettori.
Sabrina à Non possiamo pretendere che ci scriviate prima d’avervi fatto sapere che il vostro Giornale ha una buca apposta per tutte le letterine che gli vorrete indirizzare. Così, per questa volta e per darvi il buon esempio, cominceremo noi a scrivervi, pregandovi di tenere a mente che qua al Giornale per i Bambini si vorrebbe essere al giorno di tutto quel che vi succede e si vorrebbero conoscere quali sono le cose che vi stanno più a cuore. Per ciò se vi capita di leggere o nel Giornale o in qualche libro, una frase che non vi riesce capire, se facendo le lezioni trovate una qualche difficoltà, se volete qualche notizia che non abbiate potuto pescare nei vostri libri, senza incomodare quelli di casa, voi sapete d’ora in poi come fare. Carta, penna e calamaio; scrivere al Giornale per i Bambini, esporre i vostri dubbi e chiedere consiglio.
E il Giornale per i Bambini giusto qui in questa colonna, dopo una settimana o due, pubblicherà sotto alle vostre letterine la risposta desiderata.
Naturalmente, dovrete cercare di esser brevi. Prima di tutto perché lo spazio è poco! Così penserete un po’ più a quel che volete scrivere; e poi perchè esser brevi quando si parla o si scrive, vuoi dire mostrarsi gentili e educati con la persona alla quale ci rivolgiamo. Perciò scrivete quello che desiderate, poi chiudete in una busta la letterina, appiccicate lassù sull’angolo a destra un bel francobollo color d’arancia, da venti centesimi, e con la più bella mano di scritto che v’abbia mai fatto avere un 10 a scuola, metteteci sopra quest’indirizzo:
Al Giornale per i Bambini – 130, Piazza Montecitorio – Roma
Quando passate accanto a una buca delle lettere, rizzandovi sulla punta dei piedi, ci butterete dentro il vostro scritto. Sarà come se me l’aveste consegnato in proprie mani: perché la lettera dalla buca passerà nel sacco dei portalettere, di lì all’Uffizio Postale, dove ci metteranno sopra un bollo nero con la data e il luogo da cui proviene, e con un altro sigillo faranno dei freghi neri sul francobollo. Allora la vostro letterina sarà cacciata in un sacco che chiuso nel vagone della posta viaggerà, viaggerà giorno e notte, finchè non arrivi a Roma. Quel sacco sarà aperto all’Uffizio Postale di qui, e dopo ché un altro bollo con la data di Roma sarà messo sul dorso della lettera, il postino la porterà alla Direzione del Giornale, in Piazza Montecitorio 130, dove verrà ricevuta con gran festa dal più affezionato dei vostri amici.
Conte
Chiocciola, chiocciola Marinella
Tira fuori le tue cornella,
e se non le tirerai
chiocciola, chiocciola morirai
Tirane una… tirane due… tirane tre…
Toccherebbe proprio a te… te… te…
***
Sotto la pergola del Papa
C’era un cesto d’insalata,
c’era un cesto di lattuga,
se la mangia la più ciuca
te la mangi proprio te… te… te…
***
Anghingò, tre galline e tre cappò,
per andare alla cappella,
c’era una ragazza bella,
che sonava il ventitré
toccherebbe a te… te… te…
500 catenelle
E cinquecento catenelle d’oro
Hanno legato lo tuo cuore al mio
E l’hanno fatto tanto stretto, il nodo
Che non si scioglierà, né te né io
E cinquecento catenelle d’oro
Hanno legato lo tuo cuore al mio
E l’hanno fatto un nodo tanto forte
Che non si scioglierà fino alla morte
E l’hanno fatto un nodo tanto forte
Che non si scioglierà fino alla morte
Io son contadinella
Io son contadinella – alla campagna bella;
se fossi una regina – sarei incoronata,
ma son contadinella – mi tocca lavorar!
E cinquecento cavalieri – con la testa insanguinata,
con la spada arrugginita: – indovina che cos’è?
E sono, sono le ciliegie! – Sono, sono le ciliegie.
Sono, sono le ciliegie – che maturan nel giardin.
E tira e molla, e molla, – e tira, e tira e molla, e molla
e tira, e tira e molla, e molla – e tira, e tira e molla, e lascia andar
Lamento del contadino
Vi prego tutti, o cittadini
di ascoltare o po’eri contadini,
che dopo tanto che si lavora
e mai di pace non abbiamo un’ora.
Colla zappa e lo zappone
e lo zaino i ‘ssu groppone
giovani e vecchi, tutti armati,
noi sembriamo tanti soldati.
Si va colla speranza della raccolta,
si spera sempre sarà di morta,
poi vene la ruggine e la brinata:
ecco la vita bell’e disperata.
Quando la faccenda è fatta
qui’ po’ di grano s’arraccatta
e po’ viene la battitura
e tutti còrgano co’ gran premura.
I’ primo frate che vien sull’aia
saluta i’ cappoccia e po’ la massaia
e a sedere si mette a i’ fresco
lo vole i’ grano pe’ San Francesco.
Poi c’è i’ cappuccino con quella barba
che gli ci viene dopo l’alba:
padre Dionigi e San Gregorio
accattate l’anime del Purgatorio.
Po’ c’è la monica colla sacchetta
lo vole i’ gran per Santa ‘Lisabetta,
per mantenere l’uso e ‘l sistema
e a ‘i contadino la raccolta scema.
Po’ c’è i’ sensale colla bugia,
lui più di tutti ne porta via
e colla scusa di vedé la stalla
lo vuole il fieno per la cavalla.
Poi c’è i’ dottore, i’ veterinario,
il fabbro, il sarto e i’ carzolaio,
la levatrice con i’ becchino,
e tutti addosso al po’ero contadino.
Mangiare e bere a’ mietitori,
e po’ pagarli saran dolori;
e gli ci corre giù alla lesta,
al contadino cosa gli ci resta?
Lasciamo stà queste partite,
ma ce n’è d’artre più squisite
e di tutte questa è peggiore:
la mezza parte la vol i’ padrone.
Poi vien i’ tempo della vendemmia
e allora sì che si bestemmia:
e gli si mette dentro la botte
e gli si vende e bona notte.
Po’ si prende un po’ di vinaccia,
so fa una botte con acquettaccia
e lì di beve tutto l’inverno,
si soffre pene dell’inferno.
Poi c’è la massaia che viene in piazza
con que’ be’ polli di prima razza;
per rivestire i lor bambini
a casa porta de’ savattini.
Po’ c’è le ragazze fresche e belle:
pe’ fassi il letto e le gonnelle
e dietro l’uscio depongan l’uova,
e chi le schiaccia e poi nessun le cova.
Così success’a’ mie’ finali
e si sta peggio de’ maiali,
e si lavora quant’e vvoi
e i maltrattati siamo sempre noi.
La mosca dal moscaio
E sorte fuori la mosca dal moscaio
per agguantar la mora dal moraio.
Fra mosca e mora…
m’innamorai di quella traditora.
E sorte fuori il ragno dal ragnaio
per agguantar la mosca dal moscaio.
Fra ragno, fra mosca e mora…
m’innamorai di quella traditora.
E sorte fuori il grillo dal grillaio
per agguantar il ragno dal ragnaio.
Fra grillo, fra ragno, fra mosca e mora…
m’innamorai di quella traditora.
E sorte fuori il topo dal topaio
per agguantar il grillo dal grillaio.
Fra topo, fra grillo, fra ragno, fra mosca e mora…
m’innamorai di quella traditora.
E sorte fuori il gatto dal gattaio
per agguantar il topo dal topaio.
Fra gatto, fra topo, fra grillo, fra ragno, fra mosca e mora..
m’innamorai di quella traditora.
E sorte fuori il cane dal canaio
per agguantar il gatto dal gattaio.
Fra cane, fra gatto, fra topo, fra grillo, fra ragno
fra mosca e mora…
m’innamorai di quella traditora.
E sorte fuori il lupo dal lupaio
per agguantar il cane dal canaio.
Fra lupo, fra cane, fra gatto, fra topo, fra grillo, fra ragno
fra mosca e mora…
m’innamorai di quella traditora.
E sorte fuori il leone dal leonaio
per agguantar il lupo dal lupaio.
Fra leone, fra lupo, fra cane, fra gatto, fra topo,
fra grillo, fra ragno, fra mosca e mora…
m’innamorai di quella traditora.
E sorte fuori il leofante dal leofantaio
per agguantar il leone dal leonaio.
Fra leofante, fra leone, fra lupo, fra cane, fra gatto,
fra topo, fra grillo, fra ragno, fra mosca e mora…
m’innamorai di quella traditora!!!
I’ bambino è della mamma
Ninna nanna – Ninna nanna
I’ bambino gli è della mamma
Della mamma e della zia
Della vergine Maria
Ninna nanna – Ninna nanna
I’ bambino gli è della mamma
Della mamma e della nonna
E di i’ babbo quando torna
Babbo, babbo, torna presto
I’ bambino gli ha rotto il testo
E l’ha rotto n’i canto di foco
Babbo, babbo pena poco
Nanna o, nanna o
I’ bambino a chi lo do?
E lo do all’omo nero
Che lo tenga un anno intero
E lo do alla befana
Che lo tenga una settimana
E lo do all’omino di bronzo
Che la sera lo porti a zonzo
E lo do all’omino d’ottono
Che ci paghi la pigione
La miseria
La miseria l’è un gran malanno,
se per caso t’entra addosso,
lemme, lemme ti si ficca fino all’osso,
e un c’è Cristi, un sorte più.
Pe’ guarì di questo male,
c’è un rimedio solamente,
che ti pigli un accidente,
e ti levi da i’ pati’!
La guerra
La storia di Lioniero