Il film ‘Greg’ racconta gli ultimi anni del condannato alla pena capitale nel Texas al quale fu respinta la richiesta di grazia, ma che fu sostenuto da una scuola toscana. La proiezione per i ragazzi, l’emozione degli interpreti. Articolo di Caterina Ceccuti per La Nazione, 2 maggio 2022
È una storia come ce ne sono state tante e tante ce ne saranno, quella di Gregory Summers, condannato a morte dallo Stato del Texas per un reato di cui non si sono mai trovate prove certe. Aveva solo 48 anni il 25 ottobre 2006, quando alle nove e un quarto del mattino fu giustiziato con l’accusa di aver organizzato l’omicidio dei genitori adottivi per incassare 24.000 dollari di assicurazione di cui, a detta dell’accusa, 10.000 sarebbero serviti per pagare l’assassino. Ma anni prima, dal carcere, scrisse un appello a tutti i giornali del mondo, un tentativo disperato, non avendo denaro né altri mezzi per chiedere la revisione del processo e salvarsi la vita.
Il suo grido di aiuto attraversò l’oceano e toccò il cuore di una donna toscana, Maria Carla Carretta, Preside dell’Istituto Comprensivo Borsellino di Navacchio, in provincia di Pisa. Fu lei a scrivere per prima una lettera al carcere texano, indirizzata a Summers, e ad ottenere la risposta che avviò ufficialmente una corrispondenza protratta per 10 anni, ma non basta. La Preside non ci stava all’idea che “Greg” fosse giustiziato. Così coinvolse i giovani studenti del suo Istituto nella missione di sensibilizzare la gente contro la pena di morte. Organizzò con i suoi alunni una petizione, furono oltre 700 le firme raccolte. Purtroppo neanche questo permise la riapertura del processo di Summers. Come ultimo desiderio, il prigioniero dichiarò di voler essere sepolto in Toscana, non in America, dove neanche i parenti avevano voluto sostenerlo. Oggi Gregory Summers riposa nel cimitero di Cascina e il suo epitaffio recita “Dal braccio della morte all’abbraccio di Cascina”.
La storia Gregory Summers, dalla vita al sul grande schermo
A raccontare la sua storia, che poi è la storia di molte, troppe condanne a morte, è il medio metraggio ‘Greg’, firmato dal regista Giuseppe Ferlito, premiato con i patrocini di Amnesty International Italia e di Nessuno Tocchi Caino, che raccoglie con sensibilità il grido d’allarme sulla brutalità della pena capitale, ancora in vigore in molti Stati. Protagonisti della pellicola, che proprio lunedì 2 maggio alle 10 viene trasmessa al Cinema La Compagnia di Firenze nell’ambito delle celebrazioni della Festa della Toscana 2021, sono Fabio Baronti, noto attore fiorentino che in maniera pregevole ha interpretato Greg, e Rosanna Romellano, nei panni della preside che ha saputo insegnare ai suoi studenti come “Lo Stato deve essere superiore all’individuo”.
“L’emozione più grande nell’interpretare il mio ruolo nel film – spiega Romellano- è stata la scoperta di questa donna, piccola solo in apparenza, dotata in realtà di una grande intelligenza, che ha dato senso al suo mestiere all’interno della scuola, sensibilizzando ed educando i ragazzi al senso civile e all’empatia verso il prossimo. La Preside Carretta ha coinvolto i suoi studenti in una missione volta a dare sollievo e speranza a un condannato. E nel farlo ha svecchiato il modo di fare scuola, rivelandosi una nuova Montessori. È così che si insegna, a parer mio, dando modo ai ragazzi di vivere esperienze concrete, perché i giovani non sono solo il nostro futuro, sono il nostro presente. Spontanei ed efficaci, se vogliono una cosa se la prendono senza tanti discorsi. Lei li ha portati a vivere un’esperienza di vita e loro hanno risposto comportandosi da adulti. Si sono mobilitati, hanno raccolto firme, sono andati al Consolato, insomma hanno creduto in una causa. E anche se non sono riusciti a far revisionare il processo, hanno comunque portato speranza a Gregory, accogliendolo nel proprio cuore come un amico”.
Signora Romellano, per interpretare il ruolo di Maria Carla Carretta lei ha letto il suo libro ‘Quinto: Non ammazzare’…
“Sì, e mi sono immersa in questa incredibile corrispondenza tra lei e Summers. Dieci anni in cui due esseri umani di grande cultura e di sesso diverso si sono scambiati emozioni, paure, speranze. Lei ha avuto il grande merito di far riscoprire a quest’uomo la fede. Ad un certo punto Summers le scrive ‘Oggi che Dio ha provveduto a toccare il tuo grande cuore non mi sento più così triste, né sfortunato. Anche se in questa cella il tempo si è fermato’. Lei da parte sua lo definisce ‘A big man’ e si scusa se, malgrado il massimo impegno, non dovesse riuscire a fare abbastanza per lui: ‘Confido sempre nella speranza di poter costruire qualcosa per la tua salvezza’, gli scrive. Una donna apparentemente dimessa, calma, low profile, che si dimostra invece carica di questa grande fede e benevolenza verso il prossimo. Grazie a lei ho rafforzato l’altruismo che avevo in me”.
Signor Baronti, lei invece ha interpretato il complesso ruolo di un condannato nel braccio della morte. Come ci è riuscito?
“Per natura sono un tipo pauroso, mi spaventano i problemi e le malattie. Mi sono domandato ‘Se fossi stato io il condannato a morte, come avrei vissuto l’ultima settimana di vita in attesa di essere ucciso, o meglio le ultime ventiquattro ore, sapendo che qualsiasi cosa io avessi fatto, l’avrei fatta per l’ultima volta?’. Non ho saputo darmi una risposta certa, è una questione troppo intima, personale. Inoltre, come spettatori ma anche come attori, siamo tutti troppo viziati dagli stereotipi del cinema: certe immagini, certe scene viste ci impressionano fino a farci credere che realmente rappresentino la realtà dei nostri stati d’animo, anche se poi non è così. Ecco che, allora, ho cercato di superare tutto questo, scavando il più profondamente possibile dentro me stesso, a caccia delle mie paure. E alla fine sono riuscito a percepire un disagio forte. Nella vita sono le azioni che determinano una storia, ma in una rappresentazione sono le emozioni che aiutano a capire i fatti. Ognuno vaga tra le proprie emozioni in maniera personale, e alla fine la mente di un attore aiuta chi riesce a perdere la razionalità. Per descrivere le ultime ore di Summers avevo bisogno di disperazione, paura, rammarico, ed io ho cercato di portarmele dentro con l’idea che non dovessero essere manifeste, perché in un cortometraggio non c’è tempo per sviluppare i colori dei sentimenti. Si può scegliere una maschera, questo si può fare, la più sconfitta e amara possibile, in questo caso”.
Cosa significa per lei la pena di morte?
“Un abominio, al di là della colpevolezza o meno. Lo Stato non può uccidere un cittadino, benché in questo momento storico ci siano persino Stati che invadono altri Stati, calpestando secoli di conquiste sociali. Il senso di un comune cittadino è l’impotenza, perché qualsiasi cosa si faccia o si possa fare non saremo comunque in grado di cambiare l’ordine costituito degli eventi. Il corso storico prende sempre il sopravvento. Ma la morte no. Un omicidio di stato non lo accetto, la civiltà deve passare attraverso altre cose. Questa è una convinzione profonda che mi porto dentro e che viene da lontano. Ricordo che in occasione di una passata Festa della Toscana, la Compagnia delle Seggiole – di cui Fabio Baronti è fondatore – realizzò un progetto radiofonico basato sul film di Sidney Lumet La parola ai giurati, in cui si tocca il tema della pena di morte. Un vero compendio per insegnare allo spettatore, attraverso l’espediente narrativo, i principi giuridici del diritto penale che dovrebbero essere alla base di ogni ordinamento: eguaglianza, contraddittorio, presunzione di non colpevolezza. Il dubbio, soprattutto questo, la responsabilità di uccidere una persona senza avere la certezza della sua colpevolezza. Ecco allora che la possibilità di partecipare al medio metraggio ‘Greg’ è stata per me l’occasione di toccare un argomento intimo, profondo, e di manifestare il mio orgoglio di essere toscano, perché il Codice Leopoldino, emanato nel 1786 dal Granduca Pietro Leopoldo di Lorena, è stata la prima riforma delle leggi penali, in cui per la prima volta nella storia di uno Stato viene formalmente e giuridicamente abolita la pena di morte. Alla fine, è vero che né io né altri cittadini possiamo cambiare le cose, ma è anche vero quel che diceva Madre Teresa di Calcutta ‘Quello che noi facciamo è solo una goccia nell’oceano, ma se non lo facessimo l’oceano avrebbe una goccia in meno’”.
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